In data 12.09.2018 una sentenza della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito l’illegittimità del licenziamento ai danni di un sindacalista, guardia giurata per una società pugliese, a seguito dell’utilizzo di termini dispregiativi nei confronti dell’amministratore delegato della società per la quale prestava servizio.
I fatti risalgono al 2014 quando il lavoratore in questione, aveva perso il posto di lavoro dopo la diffusione di una conversazione nel gruppo Facebook del sindacato, nella quale aveva apostrofato con epiteti volgari il proprio amministratore delegato. La suprema Corte ha stabilito “l‘insussistenza di una giusta causa di licenziamento per essere le espressioni comparse sulla chat, di dissenso del lavoratore rispetto ai metodi dell’amministratore, riconducibili al legittimo esercizio del diritto di critica” e che “ la chat su Facebook, in cui è avvenuta la conversazione oggetto di causa, era composta unicamente da iscritti al sindacato”, si trattava quindi di una chat chiusa o privata, che così come prevede l’art. 15 della Cost. definisce inviolabili “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione”, questo riguarderebbe quindi anche i messaggi che circolano attraverso le nuove “forme di comunicazione”, ove inoltrati non ad una moltitudine indistinta di persone ma unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo che devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e inviolabile.
Una sentenza questa che chiarisce un aspetto spesso oggetto di dispute all’interno delle aziende e che riguarda proprio l’utilizzo di nuove forme di comunicazione che possono diventare nuove forme di controllo verso i lavoratori.