Un recente studio pubblicato da “Save the children” sulla maternità in Italia riporta dati a dir poco sconfortanti. Se da una parte i numeri relativi alle nuove nascite ci parlano di un Paese che si sta spopolando, le stime per il 2019 ci parlano di appena 435 mila nati, ennesimo record negativo per il nostro Paese. Sempre meno nascite e sempre meno giovani: la consistente emorragia si estende anche alle nuove nascite, crollate tra il 2008 e il 2019 di oltre 140 mila unità.

A sostenere la natalità in Italia restano i cittadini stranieri: circa un nato su cinque, pari a circa 85 mila, nel 2019, ha la mamma straniera. Di questi, circa 63 mila sono quelli nati da genitori entrambi stranieri.

Il tasso di fecondità oggi in Italia è di 1.29 figli per donna, un secolo fa era oltre il doppio.

Nel 2016, quasi la metà (circa il 45%) delle donne in età fertile – tra i 18 e i 49 anni – non aveva figli; eppure, certifica l’Istituto nazionale di statistica, a non volerne affatto è meno del 5%. Questo significa, afferma l’Istat, che “Per le donne e per le coppie, la scelta consapevole di non avere figli è poco frequente, mentre è in crescita la quota delle persone che sono costrette a rinviare e poi a rinunciare alla realizzazione dei progetti familiari a causa delle difficoltà della propria condizione economica e sociale o per fattori di contesto”.

Nel corso degli anni, anche la famiglia italiana è cambiata: L’Istat parla di “semplificazione delle strutture familiari, che vede da un lato la crescita del numero di famiglie, dall’altro la contrazione del numero di componenti”.

Ma a contribuire sempre più al calo delle nascite in Italia vi sono le disparità di genere nei tassi di occupazione, nelle retribuzioni e nel tempo che le donne sono costrette a dedicare alla cura della famiglia.

L’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro, analizzando le conseguenze che la mancanza di conciliazione comporta per il mercato del lavoro e per la società nel suo insieme, osserva che nonostante la tematica sia in discussione già da anni, la conciliazione tra vita privata e lavorativa rappresenta tuttora una “dimensione non risolta per l’occupazione femminile”, che dispiega i suoi effetti negativi non solo, come abbiamo visto, in termini di bassa natalità, ma anche di partecipazione delle donne al mercato del lavoro: “L’assenza di opportunità di conciliazione, dovuta in primo luogo alla mancanza di un sistema di servizi strutturato (ancora nel 2018 i posti disponibili per i servizi all’infanzia pubblici e privati coprivano il 24,7% dei potenziali utenti, bambini con meno di 3 anni), ma anche ad un’organizzazione del lavoro poco funzionale alle esigenze delle donne con responsabilità di cura famigliari, si traduce non solo in un allontanamento dal mercato del lavoro, ma anche nella rinuncia alla maternità”.

Eppure a questa minore occupazione femminile corrisponde di contro una maggiore preparazione scolastica. I dati Eurostat ci raccontano che in Europa come in Italia le donne sono più istruite rispetto agli uomini: abbandonano meno gli studi e si laureano più degli uomini, il 21,7% degli uomini laureati in Italia contro il 34% delle donne.

All’interno di questo scenario c’è poi un’Italia che va a due velocità, con il mezzogiorno fanalino di coda. La bassissima partecipazione femminile al mercato del lavoro nel meridione è chiaramente limitata dalla carenza di servizi per la prima infanzia, a cui si aggiunge anche un sistema di scuola dell’infanzia e scuola primaria che raramente garantisce il tempo pieno e il servizio mensa.

Ad aggravare la situazione l’emergenza coronavirus che negli ultimi tre mesi ha chiuso scuole, asili nido e strutture di assistenza, aumentando il carico di lavoro sulle madri, che nel frattempo non hanno mai smesso di lavorare, seppure molte da casa.

Ma la differenza tra telelavoro (imposto dall’emergenza Covid-19) e il vero smart work, come definito dalla legge 81/2017 “starebbe in questo: da una parte lavorare da casa negli orari prescritti dall’azienda, dall’altra lavorare in modo “flessibile”, cioè scegliendo con l’azienda orari, luoghi e tecnologie”.

Per le “mamme equilibriste”, così come sono state definite, la strada continua ad essere tutta in salita.

 

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