Da sette anni l’Istat pubblica il Rapporto sul Benessere equo e sostenibile in Italia il quale offre un quadro integrato dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali che caratterizzano il nostro Paese, attraverso l’analisi di un ampio set di indicatori.

Sul tema lavoro si registra un diffuso miglioramento degli indicatori relativi all’occupazione: durante l’ultimo anno c’è stato un piccolo incremento del dato complessivo + 1%, con un totale occupati in Italia del 63 %. Rimangono grandi differenze tra Nord e Sud del Paese: se il dato supera il 79 % nella provincia autonoma di Bolzano la Sicilia è fanalino di coda con il 44 % degli occupati.

La Uil con il suo Coordinamento Pari Opportunità e Politiche di Genere pone l’attenzione su un dato su cui bisogna riflettere: il Nord ha performance mediamente più alte, ma è anche il luogo di attrazione per professionalità provenienti da un Sud in cui si investe maggiormente sull’istruzione, in assenza di occupabilità. Il trend – crescente – di trasferimento dei “cervelli in fuga” in nazioni differenti dall’Italia, però, rischia di mettere in crisi anche il Nord nel prossimo futuro “L’Emilia Romagna è la prima regione per accoglienza di giovani laureati provenienti da altri paesi o regioni (+16,2 per mille), mentre la Calabria detiene il primato per la fuoriuscita netta di laureati tra i 25 e i 39 anni (-31,1 per mille).

Dalle analisi emerge anche che il mercato occupazionale privilegia gli occupati con alti livelli di istruzione: i lavoratori con alti titoli di studio sono infatti i più favoriti nel mercato del lavoro. A confermarlo è il tasso di occupazione, dove il 78,7% dei laureati è occupato rispetto al 51,9% di coloro che possiedono un basso titolo di studio. Livelli alti di istruzione sembrano offrire anche maggiore stabilità. Infatti, la percentuale di dipendenti che vedono trasformato il loro contratto di lavoro da instabile a stabile è maggiore per i lavoratori in possesso di titoli di studio elevati.

Dati meno confortanti arrivano dall’indicatore sulla conciliazione tempi di vita/lavoro: nel 2018 aumenta leggermente lo svantaggio delle donne di età compresa tra i 25 ed i 49 anni, con figli in età prescolare rispetto alle donne senza figli, rispetto all’anno precedente.

Le donne con figli piccoli continuano ad essere svantaggiate in quanto, come si dice testualmente “la qualità dell’occupazione si misura anche attraverso la possibilità che le donne, e in particolare quelle con figli piccoli, hanno di conciliare il lavoro con le attività di cura” e in questo il nostro Paese ha ancora molta strada da fare.